I coronavirus sono una famiglia di virus a RNA il cui nome deriva dalle proteine che, sporgendo dall’involucro del virus, formano delle caratteristiche punte a forma di corona.
Sì, perché fino al 2019 la scienza aveva individuato sei “coronavirus umani”: quattro virus che causano malattie con sintomi lievi simili al raffreddore e due virus che provocano infezioni più gravi: il coronavirus SARS-CoV, responsabile della sindrome respiratoria acuta grave o SARS, ed il virus MERS-CoV, che provoca la sindrome respiratoria mediorientale o MERS.
A questi coronavirus, si è aggiunto, alla fine del 2019, il nuovo virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia di COVID-19, una malattia che può portare polmoniti anche gravi. I coronavirus sono molto comuni in diverse specie di animali, ma talvolta possono acquisire la capacità di infettare anche gli esseri umani con il cosiddetto “salto di specie”.
I primi casi di COVID-19 sono stati registrati il 31 dicembre 2019 in Cina, a Wuhan, dove il focolaio ha probabilmente avuto origine nel mercato cittadino.
A fine gennaio, i dati epidemiologici delle autorità sanitarie cinesi, confermavano la trasmissione diretta da umano a umano.
Questo ha spinto il governo cinese ad avviare misure straordinarie di contenimento, ponendo sotto quarantena Wuhan ed altre città.
Grazie a queste misure, fino alla fine del mese di gennaio, la maggior parte dei casi è rimasta confinata al territorio cinese.
Anche i primi due casi di coronavirus in Italia, individuati il 30 gennaio, riguardavano una coppia di turisti cinesi che avevano contratto l’iniezione fuori dal nostro Paese.
In Italia, l’inizio vero e proprio della pandemia, si ha con l’individuazione del primo caso ufficiale di trasmissione secondaria sul territorio: il 18 febbraio un giovane paziente di Codogno (il cosiddetto “paziente 1”) è risultato positivo al coronavirus pur non avendo viaggiato in Asia o in altri Paesi. Il suo contagio, però, doveva essere avvenuto proprio in territorio nazionale.
Come previsto dai protocolli sanitari, dopo aver individuato il primo caso italiano, si è cercato di tracciare i contatti precedenti del “paziente 1” per risalire al cosiddetto “paziente 0”, ovvero la persona che avrebbe trasmesso per prima il virus.
In caso di epidemia, conoscere il paziente 0 è fondamentale per aiutare a capire i percorsi e le zone in cui potrebbe diffondersi il virus e per attuare le misure preventive più opportune per circoscrivere il focolaio.
La ricerca, però, non ha portato alcun risultato certo.
Inizialmente, l’emergenza era confinata a due focolai nel Nord Italia: uno a Codogno, in Lombardia, ed uno a Vò, in Veneto;
per limitare la diffusione del virus da queste zone, il governo italiano ha istituito attorno a questi comuni le cosiddette “zone rosse” per vietare gli spostamenti degli abitanti.
Con il passare dei giorni, però, il numero di persone positive al virus anche al di fuori di queste zone è andato aumentando, costringendo il governo ad adottare misure sempre più restrittive.
La sera del 7 marzo, in Italia, le misure di contenimento sono state estese a tutta la Lombardia ed ad altre 14 province del Nord.
Poi, il 9 marzo, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha comunicato in una conferenza stampa il contenuto del decreto nominato “Io resto a casa” che vietava contatti, assembramenti e spostamenti non indispensabili su tutto il territorio nazionale.
A distanza di pochi giorni, l’11 marzo è avvenuta la chiusura in tutto il Paese di locali, negozi ed altre attività non essenziali. Nello stesso giorno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti dichiarato ufficialmente l’infezione da SARS-CoV 2 una pandemia.
I coronavirus sono presenti nei pipistrelli, dai quali il virus può passare ad altri mammiferi.
Il salto di specie avviene grazie ad una modifica nel patrimonio genetico del virus che lo rende in grado di infettare nuove specie animali, tra cui anche gli esseri umani.
Nel caso del virus SARS-CoV 2, il focolaio dell’infezione sembra essere stato il mercato del pesce di Wuhan.
Il mercato di animali vivi è un classico moltiplicatore di infezione e può favorire il salto di specie per diversi motivi: la presenza di un alto numero di persone, la vicinanza con animali selvatici e la manipolazione di animali vivi.
LE CONDIZIONI IN TERRITORIO CINESE CHE FAVORISCONO L’INSORGENZA DI NUOVE INFEZIONI SONO DIVERSE
Nel territorio cinese, convergono anche altre condizioni che favoriscono l’insorgenza e la diffusione di nuove infezioni.
In Cina, la vicinanza tra esseri umani ed animali, è favorita non solo dai mercati di animali vivi, ma anche dai numerosi “allevamenti intensivi”: a questo si aggiunge il fatto che la Cina si trova al centro di molte “rotte migratorie di uccelli” che possono trasferire e diffondere i virus attraverso il territorio.
Il coronavirus ha un un tasso di mutazione molto elevato: quando duplica il suo genoma, il virus commette numerosi errori, generando altri virus con genomi altamente variabili.
Alcuni di questi possono acquisire nuove caratteristiche, tra cui la capacità di infettare cellule di specie diverse da quella di origine.
Le prime analisi condotte sul genoma di SARS-CoV 2 nel febbraio 2020 hanno evidenziato una chiara somiglianza con il virus SARS-CoV, responsabile dell’epidemia di SARS.
L’analisi bioinformatica della proteina “spike” virale (ovvero quella che serve al virus per legarsi alle cellule umane ed infettarle) ha messo in luce un importante adattamento rispetto ad altri coronavirus, ovvero la capacità del COVID-19 di legarsi al recettore umano ACE2.
IL VIRUS COME PRODOTTO DI UN EVENTO NATURALE DI RICOMBINAZIONE
Alcuni scienziati pensano che il virus sia il prodotto di un evento naturale di ricombinazione tra due coronavirus diversi che, in circostanze ancora da chiarire, si sono venute a trovare contemporaneamente nello stesso ospite e si sono scambiati reciprocamente parti del genoma.
Da questo scambio, sarebbe nato un nuovo virus del tutto nuovo: il SARS-CoV-2.
Il virus SARS-CoV-2 si trasmette attraverso la saliva, i colpi di tosse e gli starnuti, che spargono nell’ambiente goccioline o “droplet”, che veicolano il virus.
Queste cadono nel raggio di circa un metro, per cui la scienza raccomanda di mantenersi almeno a questa distanza dalle altre persone.
La trasmissione può avvenire per “contatti diretti” e “ravvicinati” con persone infettate dal virus oppure tramite “contatti indiretti”.
La trasmissione tramite “aerosol”, con il virus in sospensione nell’aria, non è ancora stata dimostrata.
Il coronavirus causa sintomi respiratori che ricordano quelli di un raffreddore o di un’influenza.
Tuttavia, rispetto alle consuete infezioni stagionali, l’epidemia di COVID-19 si caratterizza per una maggiore percentuale di sintomi respiratori severi e critici, con “polmoniti” che possono portare all’insufficienza respiratoria ed alla necessità di ricorrere a cure di terapia intensiva.
Il dato più preoccupante riguarda, in particolare, l’ “alto tasso di letalità” nelle persone con più di 60 anni e che presentano malattie croniche.
Anche bambini ed adolescenti possono contrarre l’infezione, ma la malattia decorre in generale senza gravi complicanze. Non esistono quindi fasce d’età immuni all’infezione e, anche se i sintomi sono lievi o assenti, i giovani possono essere comunque un veicolo di trasmissibilità del virus.
La genetica gioca un ruolo importante nel rendere alcune persone più vulnerabili di altre.
I primi studi epidemiologici indicano che, nonostante uomini e donne contraggano l’infezione con uguale probabilità, i maschi hanno un tasso di letalità leggermente più alto.
Un’analisi del rivista “Nature” ha individuato una possibile causa nei polimorfismi del recettore ACE2, la proteina usata dal virus per infettare le cellule umane.
Per interrompere la catena del contagio, cioè il passaggio di virus da una persona all’altra, è importante conoscere alcune delle sue caratteristiche biologiche, come la modalità di trasmissione ed il tempo di sopravvivenza al di fuori dell’organismo.
Il periodo di sopravvivenza su diverse superfici dipende dal virus e dalle condizioni ambientali.
IL VIRUS SENSIBILE ALL’AZIONE DEL SAPONE E DEI DISINFETTANTI
Anche i coronavirus, come tutti gli altri virus, sono sensibili all’azione del sapone e dei disinfettanti a base di etanolo o di ipoclorito di sodio: quindi bisogna lavarsi sempre le mani e pulire le superfici.
Per contenere la diffusione di un virus che si trasmette per via aerea, la misura più efficace è quella del distanziamento fisico: una distanza di almeno un metro evita che il virus, veicolato dalle goccioline di saliva, si trametta da un individuo all’altro.
Di fondamentale importanza, poi, è l’uso della mascherina, lo strumento più utilizzato per evitare il diffondersi del virus.
Attraverso i tamponi faringei, è possibile testare più persone possibili ed isolare quelle infette.
La procedura consiste nel prelevare, con l’aiuto di un tampone di cotone attaccato ad un bastoncino, un campione di muco dalla mucosa della gola che viene inviato in laboratorio.
Qui il campione viene prima trattato con detergenti per inattivare il virus ed evitare il contagio degli operatori; si procede poi all’estrazione dell’ “RNA virale” ed alla sua amplificazione mediante una tecnica chiamata RT-PCR.
COMPORTAMENTO DA ADOTTARE DI CONSEGUENZA ALL’ESITO
Se il tampone è positivo, a seconda della gravità dei sintomi, i pazienti possono rimanere in quarantena nella propria abitazione oppure essere ricoverati in strutture ospedaliere.
Se il tampone è negativo, la persona in questione ha totale libertà di azione.
In caso di tampone negativo, l’analisi viene comunque ripetuta su un secondo prelievo per ridurre il rischio di falsi negativi, cioè di pazienti risultati negativi al primo test ma in realtà infetti e quindi potenzialmente contagiosi.
LE IMMUNOGLOBULINE CERCATE DAL TEST SIEROLOGICO: LE IgM E LE IgG
Le IgM si formano nelle fasi precoci della malattia e scompaiono qualche settimana dopo la guarigione.
Le IgG, invece, emergono solo in un secondo tempo, ma rimangono in circolo molto più a lungo. Esse sono tra le armi che il sistema immunitario usa per garantire la memoria immunitaria, ovvero la protezione nei confronti di una seconda infezione da parte dello stesso virus.
Alla fine del 2019, quando il virus COVID-19 ha iniziato a circolare in Cina, non erano disponibili vaccini contro nessuno dei coronavirus che infettano gli esseri umani.
La diffusione della pandemia ha però dato nuovo vigore a questo ramo della ricerca ed all’inizio di aprile 2020 erano già più di 70 i vaccini in via di sviluppo in tutto il mondo.
Si tratta di una sforzo collettivo senza precedenti, perché il processo di sviluppo e di immissione in commercio di un vaccino richiede un periodo di circa dieci anni.
Questo periodo di sperimentazione serve per svolgere tutte le fasi di sperimentazione pre-clinica e clinica per dimostrare l’efficacia del vaccino.
Le piattaforme tecnologiche utilizzate sono molto diverse e vanno dalle più tradizionali a quelle più innovative: nella lista compaiono vaccini costituiti da “virus inattivati”, vaccini con “vettori virali”, vaccini basati su proteine “ricombinanti” e quelli basati sull’inoculo di una “molecola di RNA”.
IL VACCINO mRNA-1273 E QUELLO CON IL VETTORE ADENOVIRALE
Il vaccino sperimentale mRNA 1273 è basato sulla molecola di RNA. Esso induce le cellule dell’organismo a esprimere una proteina virale per attivare la risposta immunitaria. È stato sviluppato negli Stati Uniti.
- in Cina, invece, è stato messo a punto un vaccino ricombinante basato su un vettore adenovirale, contenente l’intera sequenza genetica che codifica per la proteina spike. L’obiettivo è quello di attivare una risposta immunitaria che neutralizzi la proteina non appena il virus viene a contatto con l’organismo, spegnendo l’infezione sul nascere.
Un utilizzo insostenibile del territorio aumenta il pericolo di diffusione delle zoonosi.
Il 75% delle malattie umane finora conosciute deriva da animali ed il 60% delle malattie emergenti è stato trasmesso da animali selvatici.
Essi sono definite “serbatoi” di virus e batteri, con i quali hanno imparato a convivere, avendo evoluto nel tempo una capacità di resistenza fisiologica o immunità alle patologie causate da questi agenti.
La deforestazione delle aree tropicali e la rapida diffusione delle attività umane in territori prima dominati dagli alberi, e dalle specie animali a loro legate, aumenta la probabilità di contatto tra gli esseri umani e gli animali “serbatoio”.
La deforestazione o il degrado dell’habitat forestale di una specie può spingere gli animali ad avvicinarsi alle città, frequentando parchi e giardini come “sostituti” dell’habitat naturale ormai perduto.
È quello che si è verificato per il virus Ebola in Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo e Gabon, del quale sono stati vettori pipistrelli e scimpanzé spinti a frequentare le aree urbane dopo la perdita del loro habitat naturale.
Talvolta è invece il cambiamento climatico a facilitare la diffusione di virus e batteri zoonotici in territori precedentemente non interessati da queste malattie: è il caso del virus “Zika, trasmesso dalla puntura di una zanzara del genere “Aedes”, il cui habitat, un tempo limitato a una stretta fascia intorno al tropico, si sta velocemente espandendo verso nord a causa dell’aumento delle temperature e dell’umidità atmosferica.
Nel campo del COVID-19, si pensa che la specie serbatoio sia il pipistrello “ferro di cavallo”.
Esso è ampiamente diffuso nella Cina meridionale ed in tutta l’Asia, il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa ed è uno tra i mammiferi con più “familiarità” con i virus.
Lo “spillover” ( il “salto di specie”) dal pipistrello all’uomo potrebbe essere avvenuto nel mercato di Wuhan, eventualmente con l’assistenza di una “terza specie intermedia”, ipotesi descritta da David Quammen nel saggio scientifico “Spillover”.
VIRUS E QUALITÀ DELL’ARIA: UNA RELAZIONE PERICOLOSA?
Lo stop alle auto, dovuto alla quarantena, ha causato una forte riduzione degli ossidi di azoto, uno degli inquinanti più pericolosi, prodotto proprio dalle automobili e dalle centrali di produzione dell’energia e capace di provocare bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare.
Secondo Legambiente Lombardia, la riduzione di ossidi di azoto dovuta al contenimento dell’epidemia è compresa tra il 30 ed il 40% rispetto alla media del periodo.
Purtroppo, questo effetto non ha riguardato altri inquinanti altrettanto diffusi come le polveri sottili, che in Pianura Padana vengono prodotte non solo dal traffico, ma anche dagli impianti di riscaldamento, delle attività agricole e zootecniche.
L’accumulo ed il movimento delle polveri sottili, inoltre, dipendono dalle condizioni meteo.
Per questi motivi, molte città, nel mese di marzo 2020, hanno fatto registrare livelli ancora alti di polvere, anche a causa di condizioni meteo che hanno prolungato o che hanno addirittura aggiunto alla nostra aria altre polveri provenienti dai deserti dell’Asia centrale.
In ogni caso, la riduzione di alcuni tipi di inquinanti come effetto della quarantena ha spinto alcuni a concludere che la pandemia di SARS-CoV-2 avrebbe dimostrato quanto sia “semplice” migliorare la qualità dell’aria che respiriamo, o che addirittura avrebbe un effetto netto positivo sulla salute umana, evitando un maggior numero di decessi da inquinamento di quanti ne possa causare come patologia diretta.
L’emergenza sanitaria e la continua minaccia della crisi climatica ci inducono a ritenere che le uniche soluzioni sostenibili sono quelle sistematiche.
Per limitare il riscaldamento globale non avrebbe senso limitare solo le attività più emissive: sono invece necessarie soluzioni “positive” che coniughino insieme la riduzione delle emissioni con lo sviluppo umano di tutti i popoli della Terra.
Nel concreto, questo significa compiere una radicale decarbonizzazione dell’economia, orientandola verso attività compatibili con il mantenimento del clima entro i limiti che favoriscono il benessere umano.
L’OMS definisce la salute come una “condizione di benessere globale - fisico, psichico e sociale - e non soltanto l’assenza di malattie o di infermità”.
Il benessere di un individuo è strettamente legato alla salute del luogo in cui lavora e dell’ambiente in cui vive.
In quest’ottica, la salute diventa un bene collettivo, da tutelare e salvaguardare nell’interesse di tutta la società.
Tutelare e salvaguardare la salute spetta in primo luogo allo Stato, ma ognuno di noi ha il diritto-dovere di prendersi cura di sé stesso, adottando una serie di precauzioni utili per evitare di ammalarsi: è questo il concetto di prevenzione delle malattie.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Lo Stato si occupa della salute dei cittadini attraverso il Sistema sanitario nazionale, istituito nel 1978.
La riforma sanitaria del 1978 istituiva le Unità sanitarie locali, alle quali era affidata la gestione della salute in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale.
Nel 1992 le USL sono state trasformate in Aziende sanitarie locali (ASL) e sono state loro attribuite le caratteristiche di vere e proprie imprese private.
A capo di ogni ASL, vi è un direttore generale, che non deve avere necessariamente una preparazione specifica in campo sanitario, ma deve assumersi la responsabilità economica dell’azienda: in pratica deve far “quadrare i conti”.
Alle ASL sono affidati compiti di educazione sanitaria, igiene ambientale, prevenzione delle malattie fisiche e psichiche, sia a livello individuale che collettivo.
Inoltre, è affidato loro il compito di controllare l’intero ciclo della produzione, lavorazione e distribuzione degli alimenti e delle bevande, nonché di vigilare sulle condizioni igienico-sanitarie delle scuole e dei luoghi di lavoro.
Nell’ambito del Servizio sanitario nazionale ogni cittadino sceglie nell’elenco della AsL cui è iscritto un medico di fiducia, che sarà il medico di famiglia.
Questo è il primo professionista cui rivolgersi quando si presentano problemi di salute.
Il medico di famiglia visita il paziente, prescrive i medicinali necessari con una ricetta da lui firmata, richiede per l’assistito eventuali analisi, radiografie, visite specialistiche o ricoveri in ospedali.
I trattamenti sanitari devono rispettare l’integrità fisica del malato e devono avvenire nel rispetto della dignità e della riservatezza della persona.
Questi principi si collegano alla regola della volontarietà, che esclude la sottoposizione del malato a trattamenti obbligatori se non quando è la legge a disporlo.
Inoltre, il paziente ha diritto ad essere informato dal medico degli effetti delle terapie, delle possibili alternative e degli eventuali rischi.
I trattamenti sanitari sono obbligatori solo quando è necessario tutelare la salute della collettività e l’incolumità di altre persone.
Con la l.219 del 22 dicembre 2017 è stato approvato il cosiddetto “testamento biologico” o “biotestamento”, contenente disposizioni anticipate di trattamento (DAT).
Il testamento biologico dà la possibilità ad ogni persona, in previsione di una sua futura incapacità a comunicare, di esprimere anticipatamente le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari.
Il paziente può indicare, a questo scopo, una persona di sua fiducia che lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Purtroppo a oggi l’attuale assetto normativo concernente il fine vita resta ancora gravemente carente, come denunciato di recente dalla Corte Costituzionale in merito al caso di Fabio Antonioni (noto come Dj Fabo) e che trova famosi precedenti in quelli di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby.
Dj Fabo, divenuto cieco e paraplegico in seguito a un grave incidente stradale, ha posto fine alla sua esistenza recandosi in Svizzera per praticare il cosiddetto “suicidio assistito”, aiutato da Marco Cappato, presidente dell’associazione Luca Coscioni e sostenitore dell’eutanasia legale, pratica non riconosciuta in Italia.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un insieme di linee guida e di azioni firmato nel settembre 2015 dai governi di 193 Paesi membri dell’ONU.
È un quadro di riferimento per riorientare l’umanità verso uno sviluppo sostenibile attraverso 17 obiettivi, suddivisi in 169 targets o traguardi in un grande programma d’azione.
L’avvio ufficiale degli obiettivi è avvenuto all’inizio del 2016, guidando i Paesi del mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.
QUALI SONO GLI OBIETTIVI CHE RIGUARDANO L’AGENDA 2030?
Gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile, dunque, riguardano: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame ed il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni.
Essi vengono detti “comuni”, perché riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui.
Degli obiettivi, uno dei più importanti è il terzo, denominato “salute e benessere”.
Esso si propone di assicurare la salute ed il benessere per tutti e per tutte le età e ciò consiste, innanzitutto, nella riduzione, a livello globale, del tasso di mortalità, garantendo a tutti l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria ed ai farmaci ed ai vaccini.
Secondo Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, la salute è il bene più prezioso per l’individuo: determina infatti lo sviluppo dell’uomo in tutte le sue fasi, dal benessere psico-fisico all’accesso ai percorsi di istruzione e formazione professionale.
Le persone in buona salute sono infatti in grado di imparare, lavorare e sostenere se stessi e le loro famiglie.
Alcuni target dell’obiettivo, però, sono ancora negativi. È emerso che circa 7,6 milioni di bambini nati in situazione di povertà hanno quasi il doppio delle probabilità di morire prima del loro quinto anno di età rispetto ai bambini di famiglie più ricche.
Altri settori in cui non si sono registrati progressi sensibili sono quelli delle malattie infettive, del fumo e dell’esposizione a fattori di rischio ambientale.
Tra gli aspetti che rallentano il raggiungimento dell’obiettivo salute dell’Agenda 2030, riveste un ruolo importante la disuguaglianza economica che priva moltissime persone nel mondo della prevenzione.
Nell’ultimo periodo, inoltre, si sono manifestati con maggiore intensità fenomeni climatici legati all’inquinamento ed al riscaldamento globale, elementi che possono influire negativamente sulle condizioni di salute di milioni di persone.
Nell’Occidente ricco, ad esempio, le alterate condizioni ambientali sono causa di patologie e neoplasie.
I cambiamenti climatici costringono parte della popolazione mondiale a vivere in una sanitaria sempre più carente e compromessa, esponendole al rischio di epidemie, alla carenza di servizi igienici adeguati ed alla mancanza di un’assistenza sanitaria ed efficace.
-ridurre di un terzo la mortalità prematura attraverso prevenzione e cura, promuovere la salute mentale ed il benessere;
-rafforzare la prevenzione ed il trattamento di abuso di sostanze;
-rafforzare l’attuazione della “Convenzione quadro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità” sul controllo del tabacco;
-sostenere ricerca e sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i Paesi in via di sviluppo.